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(segue)
I. Barcellona
Ecco qua. Silenzio. Un silenzio imprevisto, teso. Capita che vi sfioriate e arrivi una specie di scarica elettrica. Non potete ignorarvi del tutto: siete costretti a convivere; a intrupparvi, per esempio, al momento di salire sulla navetta che porta all’aereo. Destinazione Barcellona.
Il muscoloso è quello meno rigido, ha capito che qualcosa non torna, lo sa, ma non sa tutto. Prova però a essere naturale, sorride – una t-shirt bianca, elasticizzata. Beato lui. Gli occhiali da sole. Un divo, un campione di qualche disciplina sportiva. Non si dà arie, per fortuna.
In aereo si siede accanto al solitario.
“Ma non vi parlate?”
“Io e chi?”
“Tu e lei.”
È lunga da spiegare. Adesso sale quell’ansia leggera che prende anche i più avvezzi ai decolli – ma poi, a dire il vero, nessuno tra voi ha viaggiato tanto. Anzi: c’è chi ha paura. Tra amiche ci si tiene la mano come bambine. Più forte. Tra amici sembra più opportuno non cedere, e ripetersi in testa che non è niente, no, non è niente, mandare giù la saliva, chiudere gli occhi. Uno che ha la faccia all’improvviso verde si trova ad afferrare il braccio del compagno di volo e di banco. Si imbarazza quando prende coscienza del gesto.
“Scusami.”
L’altro non risponde. Lo guarda come se lo vedesse per la prima volta. Chi sei? Quell’ansia così fuori misura lo spiazza, lo intenerisce.
Insomma capita che in una debolezza – soprattutto in una debolezza – si veda qualcosa altrimenti invisibile.
Così, finalmente, quel tipo con la faccia un po’ squadrata, senza estro, si sarebbe detto senza personalità – ma non è vero, nessuno è senza personalità – be’, quel tipo ora esiste. Esiste proprio perché si è aggrappato al braccio dell’amico, anche se amico non è la parola giusta.
Più in generale, la gita a Barcellona offrirà – per essere precisi: al mattino presto, a notte fonda, talvolta nel tardo pomeriggio, quando si rientra in hotel per una doccia prima di cena – un diverso itinerario turistico: un viaggetto nella verità esistenziale altrui. Rivelazioni minime ma in qualche caso sconcertanti.
Passate cinque ore nella stessa aula da diversi anni, e dunque in una posizione e un set che non lasciano vero spazio alla scoperta reciproca. Solo chi si frequenta fuori, ha visto. Camerette, soggiorni, padri, madri, nonne. È già qualcosa.
Ma qui, a Barcellona, in un hotel dimenticabile, qui –
(foto dell’autore)
Qui apri di colpo la porta del cesso e vedi – lo vedi da vicino, eccolo – quello-che-non-suggerisce-mai paonazzo nello sforzo di liberare l’intestino. Qui assisti da vicino alla perizia con cui si trucca quella-che-sa-truccarsi-meglio-di-tutte. Ma come cazzo fai, come hai imparato. Dove. Qui assisti, facendo finta di avere la testa altrove, a una telefonata strana, una telefonata fiume, una telefonata che peraltro arriva passata dalla reception su quegli apparecchi che ingombrano il comodino e si possono usare per chiamare stanze a caso e bestemmiare o gemere forte nella cornetta. La telefonata fra una madre e un figlio che non sospetteresti così – qual è l’aggettivo? Così docile o sottomesso da rispondere senza alzare gli occhi a una sequela di domande inudibili ma che si intuiscono pressanti dalle risposte dettagliate: sì, abbiamo mangiato in un locale che fa tapas; tapas? Sono tipici assaggi di cucina spagnola, una roba tipo un antipasto molto ricco; sì, mi sono ricordato di avvertire che sono allergico a; no, non ho bevuto; sì, sono riuscito a dormire; no, non ho fatto tardi. Qui commenti la telefonata in questione come fosse la prova di una dipendenza malsana, una eccezione morbosa che conferma la regola, il dominio del “tutto ok” bofonchiato da una cabina telefonica una volta al giorno, o una ogni due. Qui i mal di pancia il vomito post sbronza la diarrea il brusco calo di voce la febbre entrano nella inusitata confidenza fra corpi semi-adulti che vengono alla bisogna accuditi, in ogni caso osservati con spirito di entomologi per ansia di confronto – le tette, i culi sotto la doccia, tutto il resto. Le abitudini igieniche. La puzza di piedi. Le scoregge notturne. Il russare maestoso dell’insospettabile. Il pianto nella crisi nervosa – panico, nostalgia, boh – della altrimenti impermeabile eroina delle funzioni algebriche. Qui si assiste per le prime volte alle trasfigurazioni facciali dei coetanei al momento dell’orgasmo – per carità, atti ancora malcerti, bruschi, un po’ alla buona, ma lo spezzarsi di una voce che conosci solo nel cazzeggio o nella compitezza recitata delle interrogazioni fa effetto, lo sperma zampilla controluce e quello fa un aaaaahhh lungo lunghissimo che fa pensare a un dolore.
“La mano era quella di Silvia, se ho capito bene.”
“Eh. Hai capito bene” fa il muscoloso. No, nemmeno troppo compiaciuto. Soddisfatto.
“In camera sua?”
“Sì, ha mandato via le altre. Per un po’.”
“Hanno capito?”
“Hanno capito che volevamo stare da soli.”
“Per baciarvi.”
“Stare da soli. Ma perché ti preoccupa?”
“Non mi preoccupa. È fidanzata.”
“Per modo di dire. Sei un prete per caso? E comunque, senti. Ha detto che dovevamo chiarirci.”
“E invece di chiarirvi...”
“Ci si chiarisce in tanti modi”. Ride alla sua battuta. “Piuttosto. Chiariscimi tu.”
“Che cosa?”
“Che cosa sta succedendo.”
“Niente.”
“Non vi parlate. Non vi guardate.”
Si infila nel lettone matrimoniale – è toccato in sorte un lettone matrimoniale – e il solitario deve vincere un’onda di imbarazzo.
“Non lo so. Non so che dirti.”
“L’hanno capito tutti che qualcosa non va.”
“Un po’ come tutti capiranno come vi siete chiariti tu e Silvia.”
“Fìdati. Non parlarsi non porta da nessuna parte.”
“Neanche parlarsi.”
“Ma che è successo?”
“È successo che mi sta sulle palle. Mi stanno sulle palle. Lei e lui.”
“Ma qual è il problema? Che lui le ha chiesto se – ”
“Cosa le ha chiesto?”
“Le ha chiesto se si mettono insieme. Se lei ha voglia di mettersi con lui.”
“Quindi lo sapevi.”
“So solo questo. Che altro c’è?”
“C’è quello che lei non dice.”
“O forse quello che immagini tu e magari non è vero.”
“È stato scorretto. Con la scusa del suo film...”
Il muscoloso si alza di colpo. Scende dal letto. Il solitario lo osserva come se si trattasse di un’imprevedibile reazione alle sue parole.
“Ho dimenticato di lavarmi i denti.”
“Ah.”
“Continua.”
“Non c’è molto altro da dire.”
“C’è da dire cos’è che non ti sta bene.”
Il solitario tace. Il muscoloso, in piedi, in mutande, gli dà la schiena. Si volta, non ha ancora sciacquato la schiuma del dentifricio. Fa uno sguardo serio, severo: “Non ti sta bene che lui sia stato più veloce di te?”
“Non mi sta bene che – ”
“Non ti sta bene che le abbia dato una parte nel suo film.”
“Non mi sta bene che abbiano fatto tutto alle spalle.”
“Tutto cosa? Stai delirando. E poi, scusa, alle spalle di chi? Dovevano mettere gli avvisi? Per chi? Per te? Per me?”
Il secondo pronome lo confonde.
“Non sai nemmeno cosa ha risposto lei” insiste il muscoloso.
“No. Forse non voglio saperlo.”
Nel rumore dello sciacquone si perde la parola “scusa” con cui il solitario richiama l’attenzione dell’amico. “Scusa” ripete. “Non ho capito una cosa. Cioè non sono sicuro di aver capito.”
“Che c’è da capire?”
“Non ho capito se lei piace anche a te.”
Lui sbuffa, sorride ambiguo, divertito. Poi fa sì con la testa.
(continua)
Qui la mia lettura del capitolo
Qui la musica giusta, struggente, in una clip di Todo sobre mi madre di Pedro Almodóvar
Ogni settimana mi piace di più. Ho gradito moltissimo il dialogo, sia il detto, che il non detto. Molto belle queste due frasi: »Fìdati. Non parlarsi non porta da nessuna parte.”
“Neanche parlarsi.”
Il muscoloso e il solitario tornano e il loro dialogo è estremamente interessante. Concordo con l'autore che alcuni momenti rivelano debolezze che spesso si nascondono per una sorta di pudore o voglia di apparire diversi da come si è dentro. Una delle realtà che non riveleremo mai, ma le circostanze lavorano per noi. Belle le immagini dei luoghi, così immediate da togliere il fiato. E belle , per continuare il discorso delle debolezze, quelle riferite alle descrizioni fisiche dei comuni mortali. Non si possono occultare, e in special modo in un romanzo o in un film , si possono rivelare. Parlare è meglio o tacere ? In fondo si chiede lo scrittore , continuando il dialogo fra il muscoloso e il solitario. Veri e genuini entrambi i casi, a noi saper distinguere con oculatezza quando è meglio dare spazio alle parole, o lasciarle chiuse in un ipotetico scrigno.